Intervista a Sara Bilotti

Sara Bilotti, natali e anima partenopea, con un passato di abile traduttrice e ghostwriter, esordisce come scrittrice nel 2012 con la raccolta di racconti Nella Carne e nel 2015 pubblica la trilogia composta dai romanzi L’oltraggioLa colpa Il perdono, che fa di lei un’autrice di successo. La sua ultima creatura I giorni dell’ombra, libro pubblicato a maggio 2018, ha riscosso da subito ampi consensi da parte dei lettori e della critica.Sara ci dedichi un pò del tuo tempo? Vorremmo conoscerti meglio.Certamente!Si parte…

Sara Bilotti, partiamo in quarta: c’è stato un momento preciso in cui hai deciso che saresti diventata una scrittrice? Quando hai pensato di prendere la penna e iniziare a scrivere?

Si tratta di due momenti diversi: ho scritto il mio primo racconto a nove anni, ma non pensavo affatto che sarei diventata una scrittrice. Dicono che si scriva sempre per qualcuno, ma non è vero: ho scritto dieci romanzi senza mai pensare alla pubblicazione. Scrivevo per scrivere. Scoppiavo a scrivere, e basta.
La prima volta in cui mi sono detta “sono una scrittrice” è stata nel 2012, quando Severino Cesari mi disse che avrebbe voluto pubblicare uno dei miei romanzi per Einaudi stile libero.

Sara devi svelarci il tuo segreto: scrivi romanzi in cui la sensualità è molto forte, pur prevalendo sempre la storia. Riesci comunque a non cadere mai nella volgarità e soprattutto a non tessere mai trame banali. Come fai?

Non vedo alcuna sensualità, (ma non devo essere io forse a dirlo) se non il piacere legato alla musica delle parole. Le sento cantare, mi regalano un benessere insostituibile, e spero che la melodia arrivi al lettore, in qualche modo.

Sara faccio anche a te una domanda che nelle mie interviste non manca mai: quanto di te dai ai tuoi personaggi e quanto prendi da loro? A te lo chiedo con più marcata curiosità, in quanto le
figure dei tuoi libri sembrano godere di quella “indipendenza” che spesso gli scrittori non riescono a donare alle loro creature. Tu come ci riesci?

Non sono mai indipendente dalle mie parole. Per anni leggere e scrivere sono stati la mia sola forma di esistenza, dunque la mia scrittura è permeata di elementi vitali, personalissimi, intimi, addirittura. Le storie sono ovviamente inventate, ma vivo in tutti i personaggi. La sento come una forma di libertà dell’io, una trasfigurazione (a me) necessaria.

Parliamo dei tuoi libri: un indiscusso e meritato successo lo ha riscosso la trilogia noir, che ha fatto di te una delle autrici contemporanee del genere più apprezzate. Facendo riferimento
ai titoli che hai dato ai tuoi romanzi, L’Oltraggio, La colpa, Il perdono, pensi che sia necessario e benefico nella vita perdonare sempre o è solo un luogo comune?

Il perdono mi ha salvata. Perdonare gli altri mi ha permesso di essere indulgente con me stessa. Quello che sembra un atto profondamente altruistico è in realtà anche un modo per amarsi di più.

Il tuo nuovo romanzo I giorni dell’ombra è un thriller psicologico. Quanto della scrittrice della trilogia ritroviamo nel tuo ultimo lavoro?

Nella trilogia ho dovuto frustrare gran parte della mia ispirazione in favore di una storia più lineare e di personaggi non troppo complessi. Mi sono divertita molto a scriverla e la macchina commerciale di Stile libero mi ha permesso cose difficili da ottenere, per un’esordiente. Ma dopo ho sentito la necessità di crescere, di non avere paletti, di raccontare le storie totalmente a modo mio. I giorni dell’ombra contiene tutta la mia ispirazione più vera, ho lottato per pubblicarlo così come l’avete letto, e ne vado fiera. Ho lavorato sul manoscritto per tre anni insieme al mio agente e Editor Luca Briasco, perché volevo che fosse frutto di un lavoro serio, rispettoso nei confronti dei lettori, non solo nei miei. E quando Mondadori ha scelto di pubblicarlo ho sentito finalmente che era ancora possibile scegliere di essere se stessi senza rinunciare ai propri sogni.

A cosa o a chi ti ispiri quando decidi di scrivere un libro?

Dipende. In genere decidono i personaggi. Arrivano quando vogliono, mi raccontano giorno dopo giorno la loro storia.
Spesso mi capita di non sapere come finirà un romanzo prima di arrivare ben oltre la metà della stesura. Ovviamente questo presuppone un lungo lavoro di editing successivo, che tra l’altro io adoro fare.

I giorni dell’ombra vede Vittoria Morra come protagonista: anche in questo caso, suspense, passaggi mozzafiato, ma nulla di snervante o fastidioso. Vittoria una donna dai tratti caratteriali
veritieri e assolutamente attendibili: difficile da credere che sia solo un personaggio nato dalla fantasia o sbaglio?

Vittoria è una donna profondamente disturbata, è che si sbaglia a pensare che chi ha problemi psicologici profondi non possa amare, sognare, sperare, esattamente come le persone sane. Mi piace raccontare la verità dei personaggi, lo trovo l’unico modo veramente interessante per sviluppare l’empatia, e Vittoria, come gli altri, non ci risparmia nulla, neanche i suoi turbamenti più profondi.

Nel tuo nuovo lavoro affronti almeno in parte un tema di drammaticamente attuale: la violenza domestica, quella di un padre violento e possessivo. Come pensi che oggi la società
affronti questa problematica e soprattutto cosa ti senti di dire a chi nella quotidianità affronta queste situazioni e non ha il coraggio di chiedere aiuto?

Cerco come posso di dare una mano alle vittime di violenza, soprattutto quella familiare. Il primo passo è la comprensione, anche se purtroppo si tende al facile giudizio. Spesso le vittime stesse minimizzano, alcune non si rendono neanche conto di essere vittime, soprattutto quelle che hanno avuto un genitore abusante. Dobbiamo essere noi a saper ascoltare. A saper vedere e tendere una mano, senza giudizio.

Hai affermato che non ti piace perderti in descrizioni superflue, che preferisci dare risalto ai personaggi perché loro sono la storia: come ci riesci Sara, come fai a racchiudere così bene la narrazione nei contorni delle figure che crei?

I miei personaggi delineano l’ambiente in cui vivono, l’atmosfera. Sono essi stessi paese. Il mondo è dentro di loro, ed è quel mondo che mi piace esplorare, soprattutto i suoi angoli oscuri, per questo il mio genere preferito è il thriller psicologico.

Sara quando scrivi pensi al tuo pubblico? Cerchi di stilare una storia che possa rispecchiare i gusti di chi ti segue o scrivi secondo quello che hai in mente?

Pensare al mio pubblico sarebbe un torto nei suoi confronti. Non esiste un pubblico personale. Ci sono i lettori. I lettori amano la verità. Pensare di compiacerli sarebbe come trattarli da mezzo. E invece sono il fine, il fine delle mie storie, o meglio: le mie storie, spero, finiranno dentro di loro.

Qual è il tuo libro preferito?

Dio di Illusioni, di Donna Tartt.

Se ti si dovesse chiedere di scrivere un libro di genere differente, quale sceglieresti?

Non saprei, non metto etichette. Posso solo dire cosa non potrei scrivere: un poliziesco classico. Per farlo dovrei avere bene in mente la trama dall’inizio, cosa che per me è impossibile.

Sono curiosa: la tua prossima opera è già in cantiere?

Già scritta e in fase di editing. Un romanzo meno claustrofobico, che ruota attorno a una vendetta, alla Bellezza nell’uomo e nell’arte, e a ciò che si è disposti a fare per possederla.

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