Recensione: “Cuorineri. Il direttore Simona Pino D’Astore”

Buongiorno amici lettori, oggi la recensione verte su di un libro-inchiesta, “Cuorineri-il Direttore”, della giornalista pugliese Simona Pino d’Astore.
I voli pindarici della fantasia qui non sono ammessi, è la realtà, punto e basta.
Una realtà dura, che ci mostra la zona grigia della nostra società, dove l’imperativo giornaliero non è vivere, ma cercare di sopravvivere.
Un libro che darà da riflettere, tanto.
Buona lettura!

“Nel dare forma alla nostra vita,
siamo la stecca da biliardo, il
giocatore o la palla?
Siamo noi a giocare, o è con noi
che si gioca?”
Zigmunt Bauman

Cuorineri. Il direttore

Simona Pino D’Astore

Editore: Graus Editore
Collana: Black Line
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 8 aprile 2019
Pagine: 176 p., Brossura
EAN: 9788883466908

Recensione a cura di Pamela Mazzoni

Sullo sfondo di una Brindisi deturpata dal contrabbando, dallo spaccio e dalla corruzione s’intrecciano le vicende di Franco Altavilla, Luigi Narcisi e Luigi Patisso. Tre nomi reali, tre storie vere segnate da rapine, omicidi, reati penali da scontare in carcere per conto di una criminalità organizzata che sembra essere l’unica strada da percorrere per i tre protagonisti; il romanzo, infatti, sottolinea come diventare professionisti del malaffare(così li definisce l’autrice) sia la diretta conseguenza di un’infanzia dominata dalla povertà e dalla privazione, da genitori anaffettivi o violenze domestiche; di un’adolescenza in cui l’ossessione di arricchirsi diventa un bisogno impellente, così come la necessità di emergere nel ruolo di leader del gruppo. Agli occhi dei protagonisti, quindi, la vita del mafioso appare come una chiave d’accesso all’agiatezza e alla gloria a cui hanno sempre aspirato. Ben presto, però, questo stesso stile di vita ardentemente desiderato costringerà i personaggi a sacrifici sempre più grandi: la salute, gli affetti, l’integrità. Sarà proprio il richiamo di quest’ultima che porterà Narcisi e Patisso alla decisione di cambiare, di cominciare a vivere all’insegna dell’onestà, di investire in istituzioni cittadine non più corrotte, sostenendo la candidatura di Anna, ex-compagna di classe di Narcisi, come sindaco di Brindisi. Da questo si evince il punto cruciale di tutta la narrazione: il destino della città e quello dei protagonisti sono uniti da un legame inscindibile: così come l’ambiente ha determinato le loro scelte di vita, il loro cambiamento etico contribuirà a salvare Brindisi, a liberarla dall’alone di corruzione che la sta lentamente annientando.

“Questo libro non è un caso. Non è stato scritto a caso. Esattamente come nulla è mai avvenuto per caso nella mia vita. Io non credo alle coincidenze, ma a un disegno preciso di cui possiamo modificare i colori e i contorni: Un romanzo è frutto dell’immaginazione, ma a volte, l’inventiva può avvicinarsi talmente tanto agli accadimenti, da riuscire addirittura ad interpretarli meglio di come qualcuno abbia potuto farlo osservandoli dall’esterno. La realtà, spesso, supera di gran lunga la fantasia.”

E’ la premessa di questo libro intenso, forte, con il quale l’autrice, Simona Pino d’Astore, immortala con minuzia e precisione uno spaccato dell’Italia degli anni ’80 e  ’90, visto attraverso gli occhi disincantati dei tre protagonisti, Franco Altavilla “14”, Luigi Narcisi “il Pazzo” e Luigi Patisso “il Direttore”.

Tre storie vere, che si intrecciano e si legano indissolubilmente sullo sfondo di una Brindisi debole, corrotta, tenuta per il collo con presa ferrea dalla mano nera della camorra che sta prendendo sempre più campo, grazie soprattutto al traffico in ascesa del contrabbando delle sigarette.

Vivere in una terra di frontiera e desiderare soldi facili, negli anni Ottanta, significava una sola cosa: percorrere la via più veloce, abbracciare il contrabbando di sigarette. Gente che in poco più di un mese arrivava a guadagnare fino a cento milioni del vecchio conio. Più di cinquemila uomini che intrallazzavano con l’altra sponda dell’Adriatico, un esercito di sigarettari pronti a tutto per difendere le casse da trasportare(..).”

Pagine di un racconto narrato direttamente dalla voce degli stessi protagonisti alternate ad altre in cui l’autrice romanza un po’ la storia, partendo però sempre da fatti realmente accaduti, ci sbattono in faccia una verità scomoda: la presenza di uno Stato fantasma, debole e codardo, incapace di combattere i propri demoni, che si presentano sotto varie spoglie e con vari appellativi, ma riuniti sotto un’unica egemonia, la mafia.

Uno Stato capace solo di voltare le spalle al disagio ed andarsene a capo chino, salvo i casi in cui rimane nei panni di alcuni suoi illustri rappresentanti, che con la suddetta mafia si riempiono le tasche.

Ma questa bestia maligna dove trae la linfa vitale che la ingrassa e la fortifica?

Dove acquista potere di penetrazione sociale e culturale?

Proprio tra i poveri, i reietti, gli inopi, che alletta facilmente con la promessa di guadagni facili e gloria eterna.

Ed è proprio in uno dei quartieri-ghetto malfamati ed in degrado che  nascono e crescono i nostri protagonisti, segnati già alla nascita da un destino tutt’altro che benevolo.

E’ anche una sacrosanta verità che se la tua vita ha come fulcro un luogo dove regna il caos e la criminalità e la legge che vi vige è solo quella del più forte, e dove la tua stessa famiglia è un’entità estranea ed indifferente, la via d’uscita è unica e sola.

Se nasci in un posto dove la battaglia quotidiana per sopravvivere è ormai sfociata in una guerra, non puoi permetterti di avere un’anima. Sei solo una vittima ignara di altre vittime, sei un condannato, anche se ancora non lo sai.”

La scelta di questi tre uomini è o rimanere miseri e meschini a vita, oppure costruirsi un futuro ai margini della legge all’interno della criminalità organizzata, che li accoglie nel gruppo facendo nascere in loro il senso di appartenenza, un’idea falsata e distorta di quadretto familiare, ma che è tutto quello che hanno.

Nel loro veritiero e crudo racconto non sono avari di particolari, sia che parlino della loro infanzia sia che trattino gli atti criminosi che li hanno visti protagonisti.

Senza edulcorare la violenza, però, perché nessuno di loro ha pentimenti e non sono in cerca di un’assoluzione; hanno fatto quello che hanno fatto perché non c’era altra strada da percorrere, hanno assaporato il potere, e questo è quello che conta.

Ma i loro peccati hanno bussato alla loro porta, ed hanno mostrato un prezzo da pagare..e quando sembra che siano ad un passo  dalla dannazione eterna, i cuorineri del titolo hanno un sussulto di rivalsa, forse non tutto è perduto.

Nella loro anima travagliata, così disabituata ai buoni sentimenti, si apre un varco.

Ed è speranza…

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