Recensione: “Due cadaveri senza nome” di Karen Katchur

Buongiorno cari lettori oggi vi presentiamo un libro dall’intreccio sensazionale che vi terrà incollati alle sue pagine per la tua trama intrigante ed originale.

Due cadaveri senza nome

Karen Katchur

Traduttore: Paolo Ippoliti
Editore: Newton Compton
Collana: Nuova narrativa Newton
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 3 ottobre 2019
Pagine: 320 p., Brossura
EAN: 9788822735829

Recensione a cura di Antonella Punziano

La piccola città di Portland, in Pennsylvania, è sconvolta dal ritrovamento di un corpo. La scena che si presenta agli investigatori è simile in modo inquietante a un caso rimasto irrisolto circa vent’anni prima: un’altra vittima, brutalmente assassinata, venne ritrovata nel fiume Delaware. Il detective Parker Reed è intenzionato a dimostrare che c’è un collegamento tra i due omicidi, ma la gente del posto è diffidente e maldisposta a collaborare con lui. Il passato entrerà in collisione con il presente quando Becca Kingsley, tornata a Portland a causa della malattia del padre, si ritroverà faccia a faccia con il suo primo amore. Parker è molto cambiato da allora, ma ha disperatamente bisogno di lei: avere dalla sua parte la figlia dell’ex capo della polizia, infatti, significa poter penetrare la fitta nube di omertà che circonda i due delitti. Ma in una città in cui l’oscurità più feroce è in agguato in pieno giorno, fare luce sulla verità può essere molto pericoloso…

Becca è una veterinaria con un passato difficile. Dopo essere stata forzatamente mandata a studiare al college, ha trovato la sua strada lontano da casa con un compagno che ha molte similitudini con il padre.

Un padre verso il quale lei ha nutrito e nutre ancora sentimenti contrastanti.

La sua malattia, unitamente alla necessità di riflettere sul suo rapporto con Matt, costringono Becca ad un ritorno inevitabile alla casa paterna.

Qui l’apparente tranquillità del posto è sconvolta dal ritrovamento di un cadavere orrendamente eviscerato. Su questo cruento caso indaga Parker, il primo amore di Becca.

La tensione che provava in quel momento, il chiodo che si sentiva tra le scapole, aveva un’altra origine e la sottoponeva a una pressione diversa. Tirò fuori il telefono. Non poteva continuare a evitarlo. Quando all’altro capo del filo la tosse si calmò, disse: «Papà, sono io. Becca».

[…] Nel petto di Becca si andava addensando una tempesta, le nubi nere che percorrevano il cielo estivo che aveva ingoiato pochi minuti prima e che non era più limpido e celeste, ma solcato dai fulmini e grigio.

Il ritorno a casa di Becca non passa inosservato e viene notato soprattutto da chi anni prima l’aveva conosciuta molto bene, come per esempio suo cugino John che vive poco distante e con cui da bambina giocava, almeno fino a quando i rapporti non si sono bruscamente interrotti perché il cugino ha deciso di allontanarsi.

John è l’alter ego di Becca, l’antagonista tra le righe, un personaggio dai sentimenti ambigui, combattuto tra la necessità di seguire le orme del padre che lo ha introdotto ai rituali del club cui appartiene, e l’affetto che nutre per Becca. Gli anni lo hanno reso più duro e taciturno, soprattutto dopo la morte di sua moglie Beth, alla quale era molto legato, il ricordo di lei fa da sfondo a tutta la sua vicenda.

Se la simpatia per Becca nasce spontanea, i sentimenti del lettore per John saranno ambivalenti per tutto il romanzo: lui non è cattivo ma è una persona segnata da un percorso nel quale si è ritrovato suo malgrado, un percorso che, almeno in parte, non ha costruito lui.  È un uomo che cerca sempre di fare scelte dettate dal senso di onore e di appartenenza, scelte che però spesso sono in contrapposizione con il suo carattere fondamentalmente buono.

Il club era una bestia a sé. Da ogni membro ci si aspettava un sacrificio personale per il bene del gruppo. Ed era esattamente quello che aveva fatto. Si era sacrificato. Non importava quanto avesse desiderato fare parte del club, che fosse stato un membro che aveva combattuto per entrare nei ranghi, un uomo che andava orgoglioso di avere amici che avevano giurato di dare la vita per lui come lui aveva giurato di darla per loro. […] Un mucchio di sfigati, ecco cosa era diventato il club. Reietti della società, giovani delinquenti, persone dall’aspetto bislacco, personalità curiose e stranezze assortite. Era quello che aveva attratto suo padre, un reduce del Vietnam che non sapeva più come integrarsi nella società. E John era stato risucchiato in automatico in quella vita. Non gli era mai parso di aver avuto scelta.

Le indagini sull’efferato crimine sono condotte da Parker che si è buttato anima e corpo nella sua professione di poliziotto anche per riscattarsi dalla figura paterna.

Parker è un uomo tenace, ombroso ma allo stesso tempo desideroso di aprirsi e di dare completezza alla sua vita solitaria. È un uomo che cerca di portare a galla i segreti che si celano dietro al cadavere ritrovato, cadavere che sembra avere molto in comune con un vecchio caso nel quale erano coinvolti involontariamente anche Becca e suo padre.

La testardaggine del poliziotto lo porterà a scontrarsi con l’omertà ed i tabù della popolazione locale che, timorosa di andare contro il club, sembra vivere nell’ombra di una spada di Damocle e di una minaccia che nessuno ha il coraggio di sfidare. Nessuno tranne Parker.

Quello che si troverà davanti il lettore non è il classico thriller, o meglio non è solo un thriller: è una storia che racchiude tanti piccoli messaggi, in primis, quello della forza dei legami familiari ed in particolare di quello paterno che non si rompe nemmeno di fronte alle incomprensioni.

Ciascun protagonista ha un legame profondo con un passato che non può cancellare e nemmeno dimenticare: legame che trova le sue radici proprio nel rapporto con la figura del padre.

John deve al padre la sua appartenenza ad un club che comincia a mettere in discussione. Parker porta avanti un’indagine con tenacia e coraggio proprio in ricordo della figura paterna. Becca ritorna ad un passato che avrebbe voluto dimenticare, per riscoprire la figura di un padre che non ha mai capito fino in fondo, ma che alla fine imparerà ad amare.

Ormai, da adulta, capiva che tutte le crepe del matrimonio dei genitori, le falle, non erano dipese da lei. Forse nemmeno da sua madre. Le falle stavano dentro suo padre, e lei e sua madre erano soltanto danni collaterali. Ma a ogni modo non poteva dirgliele, quelle cose. Il dolore era ancora troppo vivo. Anche se stava iniziando a capire come nascevano le infedeltà e come in alcune circostanze diventasse pressoché impossibile evitarle.

La scrittrice è riuscita a combinare sapientemente le emozioni adrenaliniche del thriller con quelle più genuine e profonde dei sentimenti umani: ne risulta un libro avvincente ed allo stesso tempo profondo e riflessivo.

Altrettanto belle sono le atmosfere del romanzo ed i paesaggi descritti che fanno da sfondo ai toni più torbidi e oscuri della narrazione, regalandoci un thriller appassionante che finisce per coinvolgere emotivamente il lettore al punto da non riuscire a staccarsi dal libro.

La scrittura è piacevole e scorrevole ed i rimandi temporali arricchiscono l’impianto della storia dando senso ai dettagli e continuità alla narrazione senza appesantire o spezzare l’attenzione del lettore sulle vicende descritte.

Anche lo stile narrativo, nella sua semplicità, è particolarmente curato e la scrittura molto fluida: la trama è ben congeniata ed ha un ritmo che alterna colpi di scena a pause riflessive rendendo davvero piacevole la lettura.

Un bel libro con un finale che non deluderà il lettore.

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