Recensione: “Il cuore nero della Sicilia” di Bruno Balloni

Leggendo questo romanzo il lettore si ritrova nel cuore di una provincia siciliana non molto nota e di cui si parla raramente, Enna. Ne riesce ad assaporare i paesaggi, i pensieri e il modo di vivere. Impara a conoscere questa terra incantevole ma controversa, piena di meraviglie ma anche di lati oscuri che si mescolano insieme dando vita alle contraddizioni che la rendono così affascinante. Sembra quasi di essere in un mondo “a parte”, dove vigono leggi e regole non scritte appartenenti ad epoche remote, eppure così reali e vicine.

Il cuore nero della Sicilia

Bruno Balloni

Editore: Algra
Collana: Scritti
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 28 ottobre 2019
Pagine: 260 p., Brossura
EAN: 9788893413336

Recensione a cura di Maria Ruggieri

Una donna che ha subito una violenza carnale si rivolge alla guardia di finanza, coinvolgendo il maresciallo Luca De Silvestri in un’inchiesta che da subito appare poco ordinaria. Dietro lo stupro si aprono, infatti, inquietanti scenari collegati all’usura, alla mafia e alla mentalità omertosa e ipocrita della società, con direzioni investigative che trascendono i compiti abituali di un reparto delle fiamme gialle. Insieme alla sua squadra, De Silvestri imbastisce una delicata indagine, muovendosi sul precario confine tra procedura e improvvisazione. Parallelamente, il maresciallo affronta la sfida di un nuovo amore, dopo anni di apatia sentimentale e disillusione nei confronti dei rapporti umani. “Il cuore nero della Sicilia”, ambientato tra Enna e Catania, è un giallo contemporaneo, senza eroi e senza lieto fine. Una radiografia dei visceri dell’isola più bella del mondo.

Il romanzo è ambientato tra le province di Enna e Catania,  già nel prologo il lettore ha una visione d’insieme del clima in cui si muovono i protagonisti. Un clima di malavita, in cui non esistono valori come l’onore, il rispetto, la famiglia, che si sono persi sulla via del denaro, delle scommesse, dell’usura e dei crimini più diversi. Un dispetto, uno “sgarro”, o il venir meno ad un accordo stretto con la persona sbagliata, vengono ripagati con una violenza inaudita.

Valeria Mandrasca, giovane donna dalla bellezza tipicamente siciliana, subisce sulla sua persona tale violenza e da quel momento giura vendetta.

Lo strumento della sua vendetta sarà Luca De Silvestri, maresciallo della Guardia di Finanza che viene dal Nord e che, secondo le voci di paese, non si è mai del tutto adeguato al modo di vivere siciliano, conservando sempre quelle sue radici che lo rendono diverso dagli altri.

Luca non riesce a rifiutare il suo aiuto a chi glielo chiede con tanta sofferenza e allo stesso tempo con tanta dignità, così coinvolge il suo reparto in un’indagine che lo porterà a occuparsi di questioni che per lo più sono estranee alla Guardia di Finanza e che solo grazie al suo intuito, alla sua perseveranza e alla sua sete di giustizia riuscirà a portare a termine.

La questione che ha tra le mani “scotta” perché riguarda uno dei mafiosi più tristemente noti della provincia, Rino Pontecorvo, genero del famoso e temuto padrino Zu Carmelo, e la sua banda di scagnozzi.

“Maresciallo, ma allora è una cosa veramente grossa? chiese l’appuntato Andrea Lo Bello. De Silvestri annuì. Già, era una cosa grossa, ed era proibito fallire: dovevano impegnarsi, dimostrarsi concentrati, preparati al rischio e disponibili al sacrificio.

Gli uomini di De Silvestri non hanno paura e si buttano a capofitto in un lavoro fatto di intercettazioni telefoniche e ambientali, indagini a trecentosessanta gradi e turni di lavoro massacranti.

L’autore li descrive in modo accurato, con pregi, difetti e caratteristiche di ognuno; hanno un alto senso del dovere e si comportano come se fossero una seconda famiglia per Luca.

Il rischio è elevato e le difficoltà non mancano, Luca De Silvestri si sentirebbe perso se, a tirarlo fuori dai suoi stessi pensieri e da tutta l’aridità di animo che lo circonda, non ci fossero, oltre ai fidati colleghi, anche gli amici, con cui condivide la passione per il tango e le poche uscite che il lavoro gli permette.

Doveva molto a quelle persone. Erano apparsi nella sua vita al momento giusto, quando stava per sprofondare, quando si sentiva l’uomo più solo del mondo. Con loro era riuscito a ritrovare la serenità e una nuova, provvidenziale spensieratezza. Grazie a veronica, Giusy, Mariagiovanna, Franco ed Emanuele poteva allontanarsi dai cattivi pensieri e mettere il male in sospeso. La loro amicizia era come una corazza leggera ma impermeabile, contro la quale ogni preoccupazione s’infrangeva lasciandolo integro. E il tango era quel quieto, intrigante e affascinante sogno dove ogni emozione si risveglia e trova il coraggio per esprimersi in un abbraccio sincero, puro… una cura della tristezza, un rimedio contro ogni nuova insicurezza.”

All’inizio del romanzo il lettore conosce, grazie a una profonda introspezione, un Luca De Silvestri con il morale molto basso, quasi depresso: è stufo del lavoro sedentario e noioso che svolge, inoltre è solo, una condizione quest’ultima che soffre in modo lancinante perché si è ritrovato senza amore all’improvviso e, per di più, in terra straniera. Da quando Elena lo ha lasciato per un altro uomo non ha più trovato pace.  

L’indagine che decide di intraprendere, però, sembra dare al maresciallo nuova linfa vitale, nuova energia e anche la sua vita sentimentale si avvia verso un nuovo inizio: in due giorni, infatti, riesce a passare dalla solitudine, che dura da più di un anno, alla conquista di due donne bellissime ma molto diverse tra loro: Manuela e Veronica.

Sarà però la sofisticata ed affascinante Veronica, avvocato quarantenne, a conquistare il cuore di Luca, con il suo modo di fare, la passione che mette nell’imparare a ballare il tango e il suo “andarci con i piedi di piombo”, in quanto anche lei ha il cuore ferito.

Luca si divide tra il lavoro e l’amore e ne trae soddisfazioni: man mano che le indagini proseguono e che le persone sospettate di essere sotto usura vengono pedinate, e che le intercettazioni telefoniche ed ambientali si fanno sempre più chiare per gli uomini che sono in ascolto, lo scenario che ne emerge è sempre più squallido e terribile, tanto da far ben sperare di poter portare in tribunale i sospettati.

Luca lavora instancabilmente, riascolta le registrazioni, rivede le immagini filmate e a volte stenta a credere a quello che sente. Le sue conclusioni sono amare:

“…continuava ad interrogarsi su come fosse possibile arrivare a certi livelli di disumanità, senza riuscire a capire a che gioco stesse effettivamente giocando Pontecorvo… con che razza di criminale aveva a che fare? “

L’indiziato numero uno è una persona che si presenta bene, ben vestito, ben educato, di bell’aspetto. Ma il suo cuore è nero perché è capace di violenze così inaudite che le persone che tiene sotto scacco rifiutano l’aiuto della giustizia per timore delle orribili ritorsioni.

Luca interroga anche il marito di Valeria, Salvatore Scaranna, “lo guardò negli occhi. Erano occhi vuoti, disgraziati, stanchi, occhi di un tossico che non aveva dormito tutta la notte, di un topo in trappola che non sapeva come ne sarebbe uscito. De Silvestri provò a immaginare cosa Salvatore stesse pensando… voleva fare il duro, Salvatore, ma era soltanto un ragazzo viziato e ingrato, vittima della sua stessa arroganza… Dietro le apparenze e le menzogne, una verità c’è sempre, glielo dico per esperienza. E solo attraverso questa verità noi riusciamo a rendere giustizia a uomini che sono vittime di persone senza scrupoli…o a donne che hanno subito delle gravissime violenze. … Salvatore cambiò espressione, sopraffatto da tutti i dubbi e le paure che aveva tentato di celare, anche a se stesso. Le parole del maresciallo stavano penetrando nel profondo, esplodendo all’interno della sua coscienza.”

Ma il senso della coscienza in alcuni uomini è talmente affievolito che le parole si disperdono subito e non attecchiscono.

Luca non si arrende alla assoluta pochezza di sentimenti che vede intorno a lui, non accetta che i valori in cui lui crede fermamente siano calpestati impunemente, e così agisce come non avrebbe mai fatto nessuno di coloro che lo circondano: si espone senza pensare alle eventuali ritorsioni o minacce. Sfodera il suo vero “io”.

Così riesce a mettersi in contatto con il padrino, con Zu Carmelo Gargallo, lo invita in caserma per mostrargli tutto il materiale che è stato pazientemente raccolto dai finanzieri e che incrimina il genero e i suoi amici. Conta sul fatto che Zu Carmelo sia un uomo d’onore, ma nel senso vero del termine, e che non potrà sopportare il modo in cui Rino Pontecorvo stia trasformando il senso della parola “onore”.

Il dialogo che si svolge tra Zu Carmelo e Luca De Silvestri è emblematico: “Siete un uomo intelligente e avveduto. A mia mi piacciono gli uomini accussì, che sanno quello che vogliono e sanno arraggiunari. Però non sopporto a chi si crede spettu, a quelli che fanno troppo i furbi, senza mettere in conto il prezzo da pagare… U munnu è pieno di questo tipo di persone, che sono le cchiù piriculose, picchè pur essendo omini da nenti nascondono la loro miseria attiggiandosi da grandi omini. … io dopo tanti anni ho capito questo, che le cose si possono far in tanti modi diversi, ma dietro ci sono sempri dui ragioni:una buona, ca tiene cunto dell’onore e del rispetto, e l’laltra cattiva, ca tiene cunto sulu dei picciuli e del potere”.

Sig. Gargallo, franchezza per franchezza, le dico che se lei non fosse quello che è , io avrei molto rispetto per la sua persona. Penso che se lei avesse utilizzato le sue capacità nella legalità, sarebbe diventato un grande imprenditore o un importante uomo di stato. … credo che lei sia rimasto uno dei pochi che ha ancora a cuore il senso dell’onore e del rispetto.”

Due uomini a confronto. Il Bene e il Male. Ognuno a modo suo ha a cuore gli stessi principi, dalle parti opposte della barricata.

Luca non si sbaglia sul conto del padrino ma viene messo sull’avviso: “vi siete messo a giocare col fuoco. U sapiti ca significa?”.

Da questo momento in poi la storia prende un ritmo serrato, cambia lo stato d’animo generale, cambia l’atmosfera in cui il lettore è calato.

“Pensò alla sua vita, a Elena, a Veronica, a suo fratello… era proprio vero, quando stai per morire rivedi la tua esistenza come un film che scorre a velocità accelerata. In un attimo capisci tutte le cose che hai sbagliato, ogni errore, ogni mancanza: ti senti un cretino e concludi che hai campato per niente.”

Luca dovrà porsi di fronte alle conseguenze delle sue azioni, penetrare a fondo nella realtà in cui ha voluto mettere il naso e di cui non conosceva nulla prima di questa indagine.

“Non è colpa vostra si nun aviti capito nenti. Voi non siete siciliano e probabilmente avete sempre pensato che ‘u Padrino fosse sulu un film. Invece, eccola qua, chista è la Sicilia. Sapete dove state ora? Al centro di tutto, nel cuore nero della Sicilia…”

È questa la cruda verità. Luca De Silvestri ha la reale percezione di essere un “diverso” e ne dovrà prendere coscienza: “lei non capisce niente di certe dinamiche. E questa sua incapacità non deriva dall’essere del Nord, ma dal fatto di appartenere a quella parte sana della società che intende la parola “onore” nella sua accezione morale e consuetudinaria, con tutti gli effetti positivi o negativi a essa connessi. Per i mafiosi l’onore è un’atra cosa…un ideale strumentale dietro al quale si nascondono posizioni assolute, tracotanza e volontà di sopraffazione.”

Queste parole racchiudono il senso di tutto il romanzo, di un romanzo in grado di far riflettere profondamente con un finale inaspettato.

La narrazione è serrata, durante tutta la lettura del romanzo sembra di respirare l’aria pesante di una Sicilia oscura e sopraffatta dalle ingiustizie e dai soprusi. Sembra quasi che non ci sia una via d’uscita.

Ad aumentare questa sensazione è la percezione di trovarsi proprio là, nel cuore della Sicilia, accentuata dall’uso del dialetto siciliano nei dialoghi, soprattutto tra siciliani, quasi a voler rendere più vera la narrazione e a far immedesimare il lettore nella storia.

E ci riesce perfettamente, anche perché le frasi in dialetto si comprendono benissimo e riescono a rendere quello che, detto in italiano, non avrebbe la stessa valenza. In fondo, siamo in una terra, la Sicilia, dove le parole non basta dirle ma occorre “viverle”.

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