Recensione: “Il treno dei bambini” di Viola Ardone

Cari lettori,
oggi vi parliamo di un libro di una dolcezza infinita, di un libro che saprà scaldare il vostro cuore. Perché Viola Ardore con “Il treno dei bambini” ci racconta una storia di grande intensità, che lascia il segno e si lascia semplicemente amare.
Buona lettura!

Il treno dei bambini

Viola Ardone

Editore: Einaudi
Collana: Einaudi. Stile libero big
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 24 settembre 2019
Pagine: 248 p.
EAN: 9788806242329

Recensione a cura di Nelide

È il 1946 quando Amerigo lascia il suo rione di Napoli e sale su un treno. Assieme a migliaia di altri bambini meridionali attraverserà l’intera penisola e trascorrerà alcuni mesi in una famiglia del Nord; un’iniziativa del Partito comunista per strappare i piccoli alla miseria dopo l’ultimo conflitto. Con lo stupore dei suoi sette anni e il piglio furbo di un bambino dei vicoli, Amerigo ci mostra un’Italia che si rialza dalla guerra come se la vedessimo per la prima volta. E ci affida la storia commovente di una separazione. Quel dolore originario cui non ci si può sottrarre, perché non c’è altro modo per crescere.

Amerigo Speranza non conosce suo padre. Si chiama Speranza come sua madre Antonietta mentre il nome è stato scelto da quel genitore che non ha mai conosciuto e che è partito per l’America lasciandogli in eredità nulla più.

Siamo nel 1946 a Napoli. Il rione accoglie con tutta la sua povertà le famiglie reduci dalla guerra. Non hanno più niente, non hanno mai avuto niente. Ecco perché, innanzi a quella così bizzarra proposta proveniente dal Nord su iniziativa del Partito Comunista, queste non possono rifiutare. Desiderano che i loro figli abbiano qualcosa di più, che conoscano anche un altro mondo, un’altra realtà, che possano auspicare a una fortuna che loro non hanno mai conosciuto.

Siamo alla stazione. Amerigo è uno di quei tanti bambini in partenza su quel treno. Ha otto anni e un cuore fatto di dolcezza e ingenuità. Non sa dove lo porterà quel mezzo che da fuori sembrava così grande e che dentro, invece, è così piccolo e stretto. Come tutti i suoi compagni di viaggio al momento della partenza lascia il cappotto alla madre e ben presto si sfila quelle scarpe così strette. Che il treno sia diretto in Russia, nel Nord o in qualche luogo popolato da persone che vogliono mangiarli, questo loro non lo sanno, sanno soltanto che quelle madri e quei padri stanno diventando sempre più piccoli.

«Mia mamma Antonietta resta in un angolo della stazione che diventa sempre più lontano, con le braccia incrociate sopra al mio cappotto. Come se mi tenesse stretto sotto ai bombardamenti.»

Bologna. Vengono accolti in una grande stanza dove ogni nuovo genitore è venuto a prendere il suo bambino. Amerigo resta per ultimo, lo hanno scartato, pensa. Tornerà subito a casa perché nessuno lo vuole. E invece, ecco che giunge lei, Derna. Una donna che lo porterà a Modena dove la nebbia farà credere al piccolo che la gente in quei luoghi tanto fumi, che ha perso il compagno in guerra, che di bambini sa ben poco, che teme di non sapere come consolarli, che non conosce i loro gusti ma che tuttavia parla un pochetto di latino, conosce della politica e ne sa del lavoro e che si dimostra essere una madre dalla grande sensibilità. I due si scoprono pian piano, sono due anime che non conoscono i rispettivi vuoti e che imparano a far leva sull’altro per colmare quei tasselli troppo a lungo lasciati vacanti. I loro silenzi, i loro sguardi, le tante canzoni e i sempre più spontanei abbracci, racchiudono verità celate, profonde ferite e grandi emozioni.

«E così ce ne andiamo, mano nella mano. I suoi passi non sono veloci come quelli di mia mamma Antonietta. Lei non mi lascia indietro. Oppure sono io che vado più svelto, per paura che rimango solo nell’aria grigia»

Ma i bambini devono stare con i loro coetanei e così Derna presenta ad Amerigo Rivo, Luzio e Nario i figli di sua cugina Rosa e del marito Alcide. Il nome, ci tiene a precisare quest’ultimo, lo ha coniato appositamente per loro onde esser certo che al momento del chiamarli tutti insieme venga proferita l’espressione Rivo-Luzio-Nario! I rapporti tra i bambini sono diversi, Rivo è un gran chiacchierone mentre Nario è ancora troppo piccolo avendo appena un anno, Luzio, invece che è coetaneo ad Arrigo, sembra non accettarlo, almeno all’inizio. Arrigo è chiamato inoltre a far fronte ai pregiudizi e alle cattiverie di quel mondo nuovo che da un lato lo accoglie e gli mostra una dimensione diversa fatta di carezze e non mazzate, di numeri e non di scarpe da contare a due a due o di pezze da vendere, di solidarietà e che dall’altro lo rifiuta additandolo come uno dei tanti bambini del treno.

«Alcide mi aveva detto che non esistono bambini cattivi. Sono solo i pregiudizi. Che è come quando tu pensi una cosa ancora prima di pensarla. Perché qualcuno te l’ha messa dentro la testa e dalla testa non se ne esce più. Ha detto che è come una specie di ignoranza, e che tutti quanti, mica solo i miei compagni di scuola, dobbiamo stare attenti a non pensare con i pregiudizi

Speranza non tarda ad ambientarsi. È un bambino dal cuore grande, dalla bontà unica. Nonostante i primi attimi di smarrimento e le prime incertezze, fa breccia nei cuori di questa grande famiglia che lo ha accolto. È abituato a non avere nulla e ora che invece è destinatario di tante cose, dall’affetto alle biglie, alla mortadella, fa propri quei doni per lui inestimabili.

«Derna mi benda gli occhi. Mentre mi preparo a picchiare, mi torna in mente il primo giorno, quando ero rimasto ultimo fino a che non era comparsa lei. Mi era sembrata grande e forte e invece adesso è come rimpicciolita. È vero che sa tante cose, anche un poco di latino, ma dei fatti della vita è più ignorante di una creatura. E se non ci sto io, con lei, chi la difende

Il giorno della separazione non tarda ad arrivare. Tutto quel che aveva, già non lo ha più. Il cuore è combattuto. Ha ragione l’amico Tommasino. Ormai sono spezzati a metà. Napoli si riapre di fronte ai loro occhi, le madri e i padri tornano ad abbracciarli, ma qualcosa è cambiato. Adesso Arrigo vede il suo mondo con uno sguardo diverso, con una mutata prospettiva, con una riscoperta consapevolezza. Non perché sia diventato ambizioso o spocchioso, ha mantenuto la sua umiltà e il suo essere, bensì perché ha conosciuto la forza di una carezza, ha conosciuto la possibilità di avere un futuro diverso fatto da un’istruzione di base e non più soltanto da mestieri raccatti a destra e manca per sopravvivere. Un gesto incauto da parte di Antonietta, un gesto che colpirà nel profondo il figlio, lo porterà a prendere una scelta inevitabile e irreversibile.

Quello di Viola Ardore è un libro di grande intensità, un libro che arriva senza difficoltà e che si fa divorare in poco più di una giornata perché il lettore è semplicemente conquistato dal narrato e da questo protagonista così genuino, semplice e veritiero. Tra le tante qualità dell’autrice vi è quella di sapersi perfettamente immedesimare nella voce di un bimbo di otto anni che pian piano cresce sino a diventare un uomo di mezza età. Ella è capace di variare il registro narrativo senza sbavature e in perfetta armonia con il quanto già proposto. Lo scritto è altresì uno spaccato storico poiché illustra al lettore degli anni duemila di un tempo apparentemente lontano eppure così vicino. Nello scorrimento di questo egli è chiamato ad interrogarsi, a porsi delle domande, a cercare delle risposte. E il tutto con la massima della naturalezza. Assistiamo anche alla naturale crescita del personaggio principale che, diviso fra due mondi, intraprende un viaggio a ritroso nel tempo per ritrovarsi, per capire davvero chi è, chi era e chi sarà.

Una lettura di quelle che restano, che fanno sognare, che scaldano il cuore, che non si dimenticano. Da leggere.

«Siamo di nuovo sul marciapiede e mi torna in mente l’odore di Derna, quando alla fermata della corriera per Modena mi accolse nel suo cappotto. E ho paura. La mia mano, che fino a ora era stata abile solo nel manovrare l’archetto di un violino, può essere uno strumento capace di consolare e dare forza. È un potere così grande che non sono sicuro di saperlo usare. La mano che tiene stretta quella del bambino si sente a un tratto debole. Ha appena fatto una promessa che non è in grado di mantenere

«C’è molto tempo davanti a me, ma non ho fretta, il viaggio più lungo l’ho già fatto: ho dovuto percorrere a ritroso tutta la strada fino a te, mamma

Viola Ardone Cover

Viola Ardone

Viola Ardone (Napoli 1974) è laureata in Lettere e ha lavorato per alcuni anni nell’editoria. Autrice di varie pubblicazioni, insegna latino e italiano nei licei. Fra i suoi romanzi ricordiamo: La ricetta del cuore in subbuglio (2013) e Una rivoluzione sentimentale (2016) entrambi editi da Salani. Nel 2019 pubblica con Einaudi Il treno dei bambini.

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