Recensione: “Cagliosa” di Giuseppe Franza

Cari lettori oggi vi condurrò in un viaggio attraverso un paese ai margini della società, fra ragazzi che vivono, sperano e cercano il loro “posto al sole” in una difficile realtà quotidiana. Un viaggio emozionante nel mondo del calcio, visto e narrato in modo inedito. Un gran bel libro, il cui finale non è affatto scontato.

Cagliosa

Giuseppe Franza

Editore: Ortica Editrice
Collana: Le erbacce
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 28 novembre 2019
Pagine: 324 p., Brossura
EAN: 9788897011903

Recensione a cura di Maria Ruggieri

Giovanni detto Vangò ruba motorini per conto di un carrozziere e nel tempo libero gioca a calcio nella squadra del suo quartiere: il Rione Incis Club, formazione di dilettanti iscritta al girone C della Terza Categoria provinciale napoletana. Ventidue sono le partite del torneo, e ventidue sono i capitoli del libro, attraverso cui Giovanni misura i propri limiti e il suo abbrutimento, subendo l’inutile ferocia dei compagni di squadra, l’ottusità dell’allenatore, i vincoli di un’esistenza da schiavo. Qualcosa sembra cambiare il giorno in cui incontra una bella giornalista sportiva, la sua nuova, impossibile ossessione. Stimolato da un sentimento inedito, il ragazzo comincia a rendersi conto di dover evolvere. Ma come? Sullo sfondo, prosegue il campionato della Incis, tra risse, scorrettezze, acide rivalità, figuracce e futili rivalse. Non ci sono campioni né sportivi, e ogni personaggio rivela senza vergogna la propria deficienza morale. Ciononostante, lontani dai riflettori, su campi polverosi e invasi dall’erbaccia, Giovanni e compagni combattono per resistere alla forza centrifuga del non senso, per sopravvivere a loro stessi.

Questo libro ci porta in provincia di Napoli, precisamente nella zona di periferia fra Ponticelli e Volla, teatro di fatti di cronaca nera che le rendono tristemente note. Il protagonista del romanzo è Giovanni Croce, un giovane di 25 che anni che a causa dei suoi capelli rossi e degli studi al liceo artistico si è guadagnato il soprannome di Vangò, dal celebre pittore Van Gogh.

Come quasi tutti i ragazzi della zona, Giovanni gioca a calcio nella squadra del suo quartiere, il Rione Incis Club, una piccola squadretta dilettante iscritta al girone C della Terza Categoria provinciale. La sua, però, non è proprio una grande passione, e infatti più volte prova a tirarsi indietro, prova a dire che non ne vuole più sapere di giocare a calcio, ma l’abitudine è dura a morire e ogni volta, puntuale, Giovanni torna in campo e quasi sempre segna.

Non sa neanche lui il motivo per cui continua a giocare a pallone, ma sa che quando l’allenatore Malinconico lo chiama e lo esorta a giocare, lui entra in campo, quasi per distrarre i suoi pensieri dai problemi che gli stanno sempre intorno.

Primo fra tutti, il lavoro.

Dopo aver provato a fare tanti lavori, Vangò ha capito che fare il dipendente non è per lui, come gli ha insegnato suo nonno Franchetiello, “ad andare a fatiare sotto il padrone è peggio che a morire di fame.. Vi dovete trovare un lavoro autonomo. Lo sapete o no che se continuate a stare sotto un padrone, quello non vi farà mai aizare ‘a capa?”

E così decide di lavorare per Giggino il carrozziere, andando alla ricerca dei mezzi che gli servono per lavorare. In pratica, ruba ciò di cui c’è bisogno in officina. Ma sa che è un lavoro poco pulito e il suo animo non è tranquillo.

Viveva nell’eterna angoscia che lo acchiappassero le guardie, che lo minacciassero quelli del sistema o che venisse scommato di sangue dal proprietario di qualche mezzo … ma anche se sapeva galleggiare a morto sospeso sulla sottile linea che separa il bene dal male e annacquarsi in ogni circostanza, ancora non era stato capace di emanciparsi dal ricatto dei pensieri. Rimuginava sempre sul momento in cui gli sarebbe andata male, sul giorno in cui qualche guappetiello da niente sarebbe venuto a chiedergli conto della sua attività…

Questo è Giovanni, un ragazzo che si è adattato all’ambiente in cui vive per necessità. La sua coscienza torna spesso a galla a ricordargli che vivere ai margini della società, con quel lavoro poco pulito non è un bene per nessuno e il dispiacere che potrebbe dare a sua madre è il suo chiodo fisso.

“Ecco il punto: uno doveva essere portato per fare una vita del genere… per delinquere in maniera sistemata bisogna essere assai tosti o completamente scemi.”

E in fondo, Giovanni non è né tosto, né scemo.

Era una bestia, lo riconosceva tranquillamente, e per certi versi gli andava bene così, ma da un po’ di tempo intuiva una sorta di dislivello esistenziale che lo spartiva dagli altri: loro erano animali, tutti più o meno feroci, avvezzi o costretti, e lui invece si era leggermente sfasteriato di vivere così, allo stato brado, condannato a un’esistenza che era una guerra senza significato e gloria.

Questa è la differenza tra Vangò e i suoi compagni di squadra, che frequenta anche fuori dal campo di calcio. Impariamo a conoscere tutti i componenti della Incis Club, ciascuno con un soprannome che ne evidenzia i difetti, o i limiti fisici, caratteriali e morali, e di ciascuno il lettore riesce a farsi un’idea chiara. Quasi tutti sono più o meno avvezzi alle droghe, alle armi, a vivere sul “filo del rasoio” per scelta o perché non hanno alternative.

Lungo i 22 capitoli del libro il lettore segue le 22 partite del campionato della squadra e vive le avventure di Vangò e dei suoi compagni. Tutti, nessuno escluso, vivono una personale battaglia e il campo da gioco è il luogo in cui si sfogano, in cui cercano la vendetta o un certo senso di giustizia.

Giovanni non è come loro; sente la differenza anche quando lo coinvolgono nelle loro attività e lui vi partecipa solo per non dire di no. Anche quando un suo amico di squadra gli offre la droga, lui la prende, anche se sa che non la sopporta molto.

Vangò, a differenza degli altri, sente forte il desiderio di cambiare vita, di cambiare lavoro, perché anche se rubare è un lavoro che sa fare, gli provoca sempre il batticuore, vorrebbe che la storia con la fidanzata Titti andasse meglio…

Giovanni, sotto quella pelle dura che la vita gli ha dato, ha un animo sensibile. E ne abbiamo la certezza quando, dopo aver assunto della droga, sente qualcosa che si smuove dentro di lui.

Una sensazione di tormento cominciò a graffiarlo e poi a scavargli nell’anima come a una pala meccanica, rinvenendo un sacco di merda e reperti orribili incrostati di paura e scuorno. Da qualche parte, là in fondo, c’era una specie di necropoli con le tombe sgarrupate di tutti i suoi desideri estinti: chi sarebbe voluto essere, che cosa gli sarebbe piaciuto fare, quello che avrebbe voluto sentir dire a sua madre, chi avrebbe voluto che suo padre fosse, i disegni che avrebbe voluto saper concepire e replicare, le cose che sarebbe stato felice di poter capire…

E poi, ad un certo punto, finalmente, inaspettatamente, arriva l’occasione per provare a cambiare vita davvero. E questa occasione ha un nome: Damiana, giovane e bella giornalista al seguito della squadra dei Boys Collina.

Giovanni se ne innamora subito, la chiama, la segue, vuole starle vicino perché prova emozioni mai provate prima, per la prima volta si sente davvero felice, ma ha timore di essere respinto, visto che lei è del Vomero e lui di Ponticelli, lei è istruita, bella e costumata e invece lui è un grezzo.

Giovanni ammette di essere cresciuto dalla parte “sbagliata“ del mondo, anche se poi ammette pure che non sarebbe voluto nascere da nessun’altra parte per non scemunirsi del tutto. Dimostra a Damiana il suo amore e anche la volontà di voler cambiare e la ragazza dapprima lo respinge, ma poi rimane affascinata da questo giovane ragazzo che ha una visione così precisa e speciale della vita. A Giovanni non pare vero che lei si sia degnata di stargli vicino e, così, inizia per lui la nuova vita che sperava, fatta di emozioni che non pensava di poter provare.

Ma a Ponticelli è difficile cambiare davvero.

Di base c’è la rassegnazione e Giovanni scopre che quello era il segreto: contentarsi, pigliarsi quel poco di buono che uno era riuscito a meritarsi o a scippare nel contesto, senza mai farsi il sangue troppo amaro. La vita, tanto, di base era una chiavica, una filiera ottusa di casualità e infamità senza nemmanco mezzo accenno di giustizia.

La vita di Giovanni e dei suoi compagni di squadra continua ad essere scandita dalle partite e dagli allenamenti che ogni settimana li impegnano fino alla partita finale e decisiva. Lottano, si disperano, perdono e vincono, in un susseguirsi di eventi che evidenziano risse, scorrettezze e l’assoluta mancanza di sportività.

Il lettore rimane incollato a leggere lo svolgimento di ogni partita come se vi stesse assistendo dagli spalti dello stadio.

L’autore, al suo esordio con questo libro che può essere una denuncia sociale e un ritratto preciso e senza sconti della realtà della provincia di Napoli, descrive tutto nei minimi dettagli, con un linguaggio asciutto scelto accuratamente, con parole forti, dure, perfettamente in linea con l’argomento e l’ambientazione del romanzo.

I termini napoletani sono tantissimi, infatti Vangò e i suoi amici parlano tutti nel dialetto partenopeo, ma ciò nonostante ne esce fuori una lettura comprensibile che a tratti suscita un sorriso o una risata, ma che lascia l’amaro per la consapevolezza della ineluttabilità del destino.

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