Recensione: “I tredici passi” di Mo Yan

Cari amici lettori, con massima eccitazione oggi ci apprestiamo a consigliarvi un’opera incredibile, I tredici passi dello scrittore premio Nobel Mo Yan, un libro che vi getterà in un trip quasi allucinogeno che non potrà che farvi rimanere continuamente a bocca aperta tra lo sconvolgimento e lo stupore, e ammaliarvi con tutta la propria essenza stupefacente.

I tredici passi

Mo Yan

Traduttore: Maria Rita Masci
Editore: Einaudi
Collana: Supercoralli
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 11 giugno 2019
Pagine: 376 p., RilegatoEAN: 9788806218553

Recensione a cura di Rosa Zenone

Stremato dalla fatica, il professor Fang Fugui, che insegna fisica in un liceo, muore mentre è in cattedra. Il suo corpo viene portato alle pompe funebri «Belmondo» dove il chirurgo plastico Li Yuchan dovrebbe prepararlo per la cerimonia. Ma poiché è impegnata a rendere presentabile il vice sindaco della città, suo ex amante (deve renderlo magro per dimostrare lo stile di vita frugale dei dirigenti del partito), il corpo del professore viene messo in attesa in una stanza frigorifera. Qui resuscita e fugge. Sulla via di casa, cade in un cantiere aperto e si ricopre completamente di calce; la moglie, credendolo un fantasma, lo caccia. Allora bussa alla porta dei vicini che sono Zhang Honqiu, professore di fisica nel suo stesso liceo, e sua moglie, Li Yuchan, il chirurgo plastico delle pompe funebri. Poiché preferiscono saperlo morto, per farne un emblema della triste condizione degli insegnanti, i tre dirigenti della scuola decidono di dare a Fang i connotati di Zhang (grazie alle abilità chirurgiche di Li Yuchan), con l’intesa che andrà a insegnare al liceo al suo posto, mentre il secondo cercherà di far soldi dandosi agli affari a beneficio delle due famiglie. Assunte le nuove sembianze, Fang forza la propria moglie a fare l’amore con lui; la donna, credendo di essere stata violentata dal vicino, si deprime e finisce per annegarsi nel fiume. Zhang passa innumerevoli peripezie cercando di darsi al commercio delle sigarette e alla fine si convince che il suo posto è l’insegnamento. Tutt’altro che a proprio agio nella nuova identità, Fang tenta di tornare come era, poi disperato cerca di impiccarsi con la cinta dei pantaloni. Proprio in quel momento vede un passero ferito che avanza verso di lui; ne conta i passi e arriva sino a dodici: secondo un’antica leggenda vedere zampettare un passero è di buon augurio, il primo passo porta ricchezza, il secondo potere, il terzo fortuna con le donne e via di seguito fino al dodicesimo. Ma se lo si vede compiere il tredicesimo tutto il bene si capovolge trasformandosi in tragedia…

«Una bella leggenda antica dice che chi vede un passero che cammina – normalmente i passeri saltano sulle zampe, saltellano, non avanzano come i pulcini prima una zampa e poi l’altra, come fanno anche gli uomini, i passeri sanno soltanto saltare –, quindi, se una persona vede un passero che cammina come un pulcino, sarà fortunata. Il primo passo porterà ricchezza, il secondo potere, il terzo fortuna con le donne, il quarto salute, il quinto gioia, il sesto successo nel lavoro, il settimo grande saggezza, l’ottavo una moglie fedele, il nono fama mondiale, il decimo bellezza, l’undicesimo una moglie bella, il dodicesimo una moglie e un’amante che vivono in armonia come sorelle.  Però bisogna evitare in tutti i modi possibili di vedere il tredicesimo passo, se lo si vede, tutte le fortune appena elencate si trasformeranno in altrettante sfortune!»

Il titolo del libro fa riferimento a tale leggenda superstiziosa menzionata all’interno, secondo quest’ultima veder camminare un passero, in quanto cosa rara, può dirsi un evento fortunato. Ma tale inclinazione è dipendente dal numero dei passi, poiché fino a dodici presagisce una vasta gamma di doni me nel momento in cui si intravede il tredicesimo tale visione diviene portatrice di sciagura rovesciando tutto ciò che di buono era finora stato annunciato. Tale simbolo numerologico lo si ritrova anche nella scelta di stilare, non casualmente, proprio tredici capitoli.

Il motore più recondito del libro è situato proprio in tale credenza, i passi del passero saranno in grado di invertire di volta in volta la situazione in tragedia, all’interno di un testo composto da continui rovesciamenti.

L’atmosfera delineata, per quanto possa far riferimento a comuni esistenze, tende a sfociare in un clima dai contorni onirici e da eventi inquietantemente fiabeschi, ciò tende a creare una perenne sensazione di estraniamento e di confusione nel lettore, frutto di una tecnica narrativa mirata

“Gli studenti stavano quasi per gridare quando… accadde l’irreparabile! Il professore cadde di testa sulla cattedra, contrasse le gambe e restò immobile come un tronco di legno. Un attimo dopo uno stormo di passeri si abbatté violentemente contro i vetri della finestra mandandoli in frantumi e cominciò a volare caoticamente dentro l’aula cinguettando.”

Il professore di fisica Fang Fugui stramazza al suolo durante la lezione e muore, tale immagine è esasperata dall’entrata improvvisa di alcuni passeri, animale ricorrente all’interno del testo. Attraverso tale evento funesto si entra nel vivo della vicenda narrativa.

“Se si ritiene che portare al «Belmondo» Fang Fugui che non era del tutto morto, o che era resuscitato, avesse qualcosa di inumano, va considerato che il sacrificio di un po’ di umanità avrebbe apportato un grande beneficio a tutti. La storia è costellata di esempi del genere (…) Ogni rivoluzione si serve di piccoli atti disumani per garantire un’umanità piú grande, anche la politica del figlio unico rientra in questa categoria.”

Fang Fugui in realtà è ancora vivo, ma il preside gli proibisce di esserlo, poiché la sua dipartita per la troppa stanchezza ha dato via a una serie di movimenti di riscossa per il miglioramento della condizione dei docenti. Quest’ultima nell’intero quadro sviluppato ne esce completamente avvilita, priva di prestigio sociale ed economico. In tale rappresentazione si può vedere una denuncia di tale classe, seppur portata allo stremo. Ma non immuni da critiche sono anche coloro che ruotano attorno alle rivendicazioni del corpo insegnante, come il preside, disposti a sacrificare un individuo in nome della rivoluzione. Tale atto è ricollegato alla severa politica demografica adottata in Cina, ampiamente trattata dallo stesso autore nel romanzo Le Rane.

La stesura de I tredici passi è del 1989, di poco anteriore ai fatti di piazza Tiananmen, teatro di una violenta e lunga rivolta studentesca. Tale dato non va sottovalutato, in quanto Mo Yan nella propria esasperata fantasia non perde mai di vista quello che è il contesto da cui proviene. In modo enigmatico e subdolo il suo libro è una riflessione sulla società cinese e sulla politica che la pervade interamente.

Fang Fugui non può “resuscitare” per motivi politici, è costretto ad attenersi a fingersi morto. Da tale stato all’improvviso la sua anonima vita sembra aver acquisito importanza. Ma una volta al “Belmondo”, agenzia di pompe funebri, la sua “salma” è messa in attesa in una cella frigorifera per dare precedenza al trattamento funereo del defunto vice sindaco Wang.

“Il vice sindaco Wang era un gran lavoratore, lavorava quattordici ore al giorno, viveva in modo parco, beveva tè ordinario e mangiava cibo semplice, la sua obesità era dovuta a una malattia, era uno di quegli uomini che ingrassano anche se bevono l’acqua del rubinetto. (…) – Domani sera la televisione trasmetterà il funerale del vice sindaco, Li, lei è un’eccellente truccatrice… Lei guardò il dirigente, poi guardò il capo delle pompe funebri e un po’ esitante disse: – Vuole dire che devo renderlo un po’ piú magro?”

La celata invettiva non risparmia la classe politica. Il dirigente del comune fa intendere alla truccatrice di cadaveri Li Yuchan di dover ritoccare la salma di Wang per darne alla massa l’immagine di un uomo emaciato per il troppo lavoro, quando in realtà il suddetto mostra in corpo tutta la propria opulenza che lo differenzia dalle altre classi sociali.

“Gli uomini rispettano quelli con i soldi e sono pronti a dire che una loro scoreggia profuma come il tuorlo di un uovo e suona come i trilli dei pappagallini! “

La società rappresentata è caratterizzata da una forte sperequazione sociale, dove la posizione ricoperta e lo stipendio fanno davvero la differenza, neppure la morte sembra poterla livellare, seppure in fin dei conti la morale di fondo è la seguente:

“ (…) qualunque posizione avessero ricoperto in vita, una volta morti puzzavano tutti allo stesso modo.”

Fang Fugui decide di scappare dalla cella frigorifera e tornare a casa dalla moglie Tu Xiaoying, donna metà russa e metà cinese, nella quale per sua sfortuna la prima parte ha preso il sopravvento. Tale caratteristica della donna è un’arguta trovata per riflessioni inerenti il rapporto Cina- Russia di quegli anni.

La povera donna spaventata e credendolo un fantasma lo caccia. Al che al “resuscitato” non rimane che recarsi dai vicini: il professore di fisica Zhang Hongqiu e la moglie Li Yuchan, la truccatrice delle pompe funebri. Non potendo “tornare in vita” Fang, i tre si accordano e decidono di fargli assumere le sembianze di Zhang tramite le doti chirurgiche di Li Yuchan. Il piano prevede che Zhang possa finalmente darsi agli affari mentre Fang vada a scuola al suo posto.

“Era mia la faccia che vedevo riflessa nello specchio ovale? Io non avevo piú un volto, portavo una maschera, recitavo.”

La soluzione adottata dà vita a una situazione pirandelliana, dove regna indisturbata la crisi d’identità. Fang non può più vivere la propria vita nella propria famiglia poiché ha le sembianze del collega, allo stesso modo Zhang vede usurpato il proprio posto da un uomo che è identico ma che non è lui. La situazione dà così vita a una serie di scene e fraintendimenti che sembrano sfociare nell’ambito della commedia.

I diversi personaggi, che si affaccendano lungo le pagine, sono descritti tramite alcuni particolari ricorrenti.  Non vi è una vera e propria presentazione degli stessi, le caratteristiche accennate vengono riprese in più passi ed estese, fornendone così una rappresentazione completa quanto a volte sconcertante. Li Yuchan, seppure seduttrice nata, è dotata di baffi verdi e di una peluria dorata che le ricopre interamente il corpo, degli elementi che inevitabilmente entrano in contrasto con la sua attitudine, delineandola come un essere estremamente ferino.

D’altronde non è l’unica a essere dotata di una forte ferinità, poiché tutti i personaggi sono maggiormente dediti agli istinti che alla razionalità tipicamente umana.

“Perché i personaggi di questo libro sono tanto sensibili agli odori e indifferenti alla logica delle parole?”

La suddetta inclinazione è percepibile anche nei rapporti umani laddove prevale una sfrenata sessualità priva di sentimentalismo, quest’ultimo talvolta può far capolino nei ricordi ma è sempre soggiogato dagli istinti carnali. A testimonianza di quanto detto si può notare come l’immagine del seno sia ricorrente e ossessiva.

In una società così delineata non mancano gli animali, tra cui spiccano quelli dello zoo che trovano ampio spazio assieme al rapporto simbiotico instaurato col proprio particolare custode, a cui spetta il grande merito di aver creato un incrocio tra la tigre e il leone, ossia i ligri, grande fenomeno di attrazione e distrazione.

“Mi disse che alla gente piacciono i mostri, e per soddisfare questo bisogno psicologico, il governo incoraggia la scoperta e la propaganda dei fenomeni bizzarri, per dare alla vita, altrimenti deprimente, un po’ di eccitazione e farci godere della gioia che ne deriva. Una società può non avere l’arte, ma non può non avere i mostri; se non c’è l’arte, ci sono i mostri… “

Tutti gli elementi concorrono a rendere il libro a dir poco superbo grazie a tocchi derivanti da un’acuta perspicacia. Il genio dell’autore si manifesta in diversi azzardi, ma sicuramente quello più intraprendente è nell’impianto narrativo. 

“Seduto sul trespolo giallo della gabbia, le gambe secche e penzoloni, le braccia avvizzite abbandonate lungo il busto – una nebbia evanescente ti copriva a tratti il viso e il corpo nudo, l’ombra delle sbarre di ferro, avvolgendoti come una rete, ti faceva sembrare uno sparviero che, pur stanco e affamato, manteneva intatto il suo spirito vigoroso (…) Ti lanciavamo dei gessetti come cibo, visto che rifiutavi la frutta fresca. (…)  Tutti gli altri animali rinchiusi nelle innumerevoli gabbie di quel grande zoo, mammiferi o rettili che fossero, mangiavano frutta, soltanto tu non la volevi. Allungando i tuoi agili artigli raccoglievi i gessetti, spalancavi la bocca mostrando denti neri come la lacca, masticavi il gesso e ci raccontavi le tue storie. Eri un narratore ingabbiato. Masticavi lentamente e poi, fissandoci con le tue pupille incandescenti come la punta delle sigarette, cominciavi a raccontare in un flusso inarrestabile.”

Il narratore si trova proprio nello zoo, in una gabbia, nel simbolo per eccellenza dell’alienazione dell’uomo. Egli si nutre esclusivamente di gessetti, chiaro riferimento alla condizione scolastica, e narra le proprie storie a mo’ di cantastorie. Allo stesso tempo appare anche come un fenomeno da baraccone, poiché il suo stare ingabbiato e sul trespolo crea immediatamente un senso di forte straniamento e un’incontenibile curiosità in merito.

“Noi potevamo vederti direttamente in viso, attraverso il tuo racconto potevamo indirettamente vedere il viso di quell’altro te, e di quell’altro ancora. Tre te corrispondevano a tre corpi diversi, ma in un certo senso potevano anche diventare un corpo solo.”

L’identità del narratore ingabbiato risulta confusa e fusa con quella degli altri personaggi nei quali si alterna. Ma a complicare maggiormente il piano narratologico vi è la presenza di un ulteriore narratore che assiste al racconto dell’uomo sul trespolo: ci troviamo così dinanzi a diverse voci narranti disposte sui differenti piani diegetici.

La narrazione è sparpagliata, non segue alcuno schema temporale bensì si serve di numerose analessi e prolessi, numerosi sono gli accenni rimandati e poi ripresi, talvolta appare come una filastrocca nei quali gli elementi ricorsivi sono di punto in punto ampliati.  All’interno inoltre sono incastonati a mo’ di cameo ulteriori racconti di secondo piano che hanno però punti in comune con la trama principale. La struttura narrativa appare come un puzzle i cui pezzi sono stati buttati alla rinfusa e dai quali non si può desistere, la voglia di ricostruirlo prende il sopravvento. La lettura dunque richiede un impegno che poi è ampiamente ripagato dalla soddisfazione di aver potuto godere di un libro dotato di uno spessore tanto raro quanto sopraffino, dove nulla è mai assodato e certo.

“Le stelle in cielo sembravano fagioli, scintillavano e vibravano, incredibilmente numerose e indicibilmente vivaci. La Via Lattea disegnava una grande strada biancastra, contornata ai lati da un blu profondo, le stelle sembravano perle appese su un velluto blu. Gocce di rugiada simili a perle pendevano dalle punte e dai bordi delle foglie di granturco. I grilli frinivano sulle piantine spuntate da poco, seguendo un ritmo estremamente preciso.”

Altro grande pregio della penna dello scrittore cinese è quello di descrivere ambientazioni tremendamente suggestive che non fanno sfigurare in alcuno modo l’atmosfera già forgiata.

La scrittura è ricca e dettagliata, non di rado vengono utilizzati modi di dire, simbologie e riferimenti alle leggi della fisica.

Il romanzo è un capolavoro, una raffigurazione della società cinese inedita e che non disdegna una satira arguta quanta incisiva, capace di fotografare un universo caotico rappresentato nella propria sfaccettata corporeità. Una trama interamente in bilico tra il serio e il faceto, che dona scene esilaranti ma anche momenti di profonda riflessione.

È come un ermetico castello fiabesco colmo di stanze su diversi livelli, se non ci si lascerà scoraggiare nell’esplorarlo, all’interno di ognuna vi si potranno trovare tesori inestimabili.

Mo Yan

Mo Yan, premio Nobel per la Letteratura nel 2012, nasce nel 1955 da una famiglia numerosa di contadini poveri, a Gaomi, nella provincia dello Shandong. Nel febbraio del 1976 abbandona il povero e isolato paese natale per arruolarsi nell’esercito. Fa il soldato semplice, il caposquadra, l’istruttore, il segretario e lo scrittore. Nel 1997, congedatosi dall’esercito, inizia a lavorare per un giornale. Nel frattempo si è laureato presso la Facoltà di Letteratura dell’Istituto Artistico dell’Esercito di Liberazione Popolare (1984-1986) e ha ottenuto un Master in Studi letterari e artistici presso l’Università Normale di Pechino (1989-1991). Inizia a pubblicare nel 1981.
Fra le sue numerose opere narrative, Einaudi ha finora pubblicato Sorgo rosso, L’uomo che allevava i gatti, Grande seno, fianchi larghi, Il supplizio del legno di sandalo, Le sei reincarnazioni di Ximen Nao, Le rane, Le canzoni dell’aglio, Il paese dell’alcol, I quarantuno colpi e I tredici passi. Delle sue undici novelle si ricordano Felicità, Fiocchi di cotone, Esplosioni, Il ravanello trasparente. Tra i racconti, Il cane e l’altalena e Il fiume inaridito, che Einaudi ha pubblicato nella raccolta di racconti L’uomo che allevava i gatti. 
Ha anche scritto opere teatrali e sceneggiature cinematografiche come Sorgo rossoIl sole ha orecchieAddio mia concubina. Il film Sorgo rosso è stato premiato con l’Orso d’Oro al Festival del cinema di Berlino e Il sole ha orecchie con quello d’Argento. Nel 2005 gli è stato assegnato il Premio Nonino per la sua intera opera.

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