Recensione: “Il mistero della vetreria” di Margaret Armstrong

Quanto può essere piacevole leggere un bel giallo vicino al camino durante queste giornate piovose autunnali? Naturalmente per assolvere appieno tale funzione di infuso di relax è necessario trovare il libro giusto e quello di oggi si presta in modo particolare, Il mistero della vetreria di Margaret Armstrong è infatti un’opera coinvolgente e avvolgente.

Il mistero della vetreria

Margaret Armstrong

Traduttore: Tiziana Prina
Editore: Le Assassine
Collana: Vintage
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 30 settembre 2019
Pagine: 220 p., Brossura
EAN: 9788894979152

Recensione a cura di Rosa Zenone

https://edizionileassassine.it/libri/il-mistero-della-vetreria/

La signorina Trumbull, una newyorkese di mezza età dai modi impeccabili e dall’eloquio facile, decide di lasciare la sua comoda dimora per andare a trovare in campagna Charlotte, una vecchia compagna di scuola, al cui invito non può più sottrarsi, anche se la giudica troppo cupa e triste rispetto al suo modo energico e ottimista di affrontare la vita. Fortunatamente la presenza di Phyllis, una giovane cugina di Charlotte, e la storia d’amore che questa ha con Leo, figlio di Frederick Ullathorne, noto artista del vetro, contribuiscono a rendere meno noioso il soggiorno della donna, abituata alla vivace atmosfera di New York. Tuttavia la tranquilla vita di campagna conosce un brusco cambiamento quando nel laboratorio dove si producono le vetrate artistiche vengono trovati nel forno dei resti che sembrano appartenere a un essere umano. Grazie ad alcuni reperti salvati dal fuoco si arriva alla conclusione che i resti sono proprio di Frederick Ullathorne, uomo dal pessimo carattere, dispotico con i dipendenti e con il suo stesso figlio. Per questo motivo molti potrebbero essere i responsabili dell’omicidio e la polizia sembra girare a vuoto. Quando però i sospetti si addensano sul figlio Leo, la signorina Trumbull, che di suo ha un debole per le indagini, decide di mettersi a investigare per proprio conto ed effettivamente riesce a “vedere ciò che altri non hanno visto”. Così facendo finisce però per mettere a repentaglio anche la propria vita.

“Immagino che il tempo, bello o brutto che sia, abbia spesso fatto la differenza nella vita delle persone. È un’ovvietà, senza dubbio: tuttavia quando ripenso alla parte che ho avuto nel caso Ullathorne, mi rendo conto che se il sole non fosse stato così splendente in quel particolare lunedì mattina dello scorso marzo, niente di quello che è avvenuto a Bassett’s Bridge sarebbe accaduto esattamente nello stesso modo, e anzi una parte non sarebbe successa affatto. Perché io non sarei stata là. Era un po’ come quella filastrocca che diceva: “E venne il gatto che si mangiò il topo, che al mercato eccetera eccetera”. Se il tempo non si fosse messo al bello, non sarei andata a far visita a Charlotte Blair; non sarei stata là con gli occhi sgranati quando le cose stavano accadendo; non sarei stata costretta ad assumere il ruolo della testimone inerme, una parte pericolosa quando le pallottole ti passano accanto. E poiché non avrei saputo niente del caso, tranne ciò che avrei letto nei quotidiani, non sarei stata della minima utilità alle persone coinvolte”

Tale è l’incipit di questo splendido giallo, un caso alquanto particolare in cui interagiscono una variegata schiera di personaggi. La voce narrante è intradiegetica e appartiene alla protagonista, la signorina Harriet Trumbull, una zitella newyorchese di mezza età. Sarà impossibile non affezionarvisi e non rimanerne affascinati, poiché ci si lascerà trascinare dallo scorrere dei suoi pensieri apprezzandone la schiettezza, la lungimiranza ma anche la profonda umanità. Ella è il perno attorno al quale ruota l’intera trama e risulta essere un sostegno irrinunciabile che infonde un’ulteriore dose di attrattiva attraverso il suo forte carisma.

La storia che Harriet si appresta a raccontare ha inizio nel momento in cui decide di accettare l’invito di una sua vecchia compagna di college, Charlotte, a trascorrere un periodo nella sua casa in un paese di campagna. L’epoca di ambientazione è quella di inizi Novecento a cavallo della Grande Depressione, attraverso le azioni dei protagonisti entriamo nel vivo di quella stagione e delle abitudini, questo aspetto contribuisce a delineare un’atmosfera molto distensiva e impregnata di un fascino senza tempo. Ciò è ancor più accentuato dalle numerose ed evocative descrizioni condotte con dovizia di particolari.

“ (…) Frederick Ullathorne finché non fu al mio fianco, sorridente e con la mano tesa. Ma valeva la pena guardarlo: era persino più attraente di Leo e mi ricordava il busto di un imperatore romano. Nerone, può essere? Ci stringemmo la mano, ma io mi girai subito verso la finestra. Restammo lì a contemplarla, Charlotte, Phyllis e io, in religioso silenzio per un lungo momento. Poi io lanciai un’occhiata a Ullathorne: i suoi occhi fissavano la vetrata e il suo viso brillava per l’estasi come un novello Orville Wright che guarda il suo primo aeroplano librarsi nell’aria. Lui sobbalzò quando presi la parola. “Il soggetto mi lascia perplessa” azzardai. “Chi sono quei tre personaggi di bell’aspetto al centro, con quel cielo rosso alle spalle?” Lui mi fissò. “Quei tre giovani” disse in tono altezzoso “sono i Tre Giovani Santi Azaria, Anania e Misaele, nella fornace ardente del Re Nabucodonosor, mentre cantano l’inno noto come Benedicite.”

La signorina Trumbull giunta a Bassett’s Bridge ha modo di visitare, in compagnia di Charlotte e di sua cugina Phyllis, la rinomata vetreria del signor Ullathorne in grado di sfornare dei veri capolavori vitrei, come testimonia la focalizzazione sull’ultimo lavoro in corso d’opera. L’ingresso di questi nuovi personaggi da subito incuriosisce, poiché il signor Ullathorne è inquadrato come un soggetto dalla fama ambigua e in competizione con il figlio Leo nel contendersi le attenzioni di Phyllis che invece ricambia il giovane.

“La passeggiata fu piuttosto silenziosa. L’ora passata alla vetreria mi aveva dato materiale su cui riflettere. Phyllis e Leo erano innamorati, era evidente e sicuramente piacevole da notare. Ma che dire di Frederick Ullathorne? Era geloso? O era solo un egoista? Egoista perché il ragazzo gli era utile? O geloso perché anche lui era attratto da Phyllis? Quell’idea non mi piacque affatto. E Charlotte? Da che parte stava?”

Quella che però sembra una permanenza monotona e ordinaria sta per essere completamente stravolta, ciò avviene il giorno in cui uno degli operai della vetreria si reca da Leo, Phyllis e Harriet per riportare un’inquietante scoperta: il ritrovamento di alcune ossa all’interno della fornace.

“Così la mia prima settimana a Bassett’s Bridge trascorse con completa soddisfazione dei miei due giovani amici, ma io cominciai a pensare di averne abbastanza della vita tranquilla di campagna, finché la domenica pomeriggio la nostra pace … Stavamo prendendo il tè nella biblioteca, Phyllis, Leo e io, quando udimmo avvicinarsi dei passi pesanti su per la scalinata, seguiti da un bussare insistente alla porta principale. Un ragazzo entrò come un fulmine nella biblioteca, bianco come un cencio e tutto ansante esclamò: “Signor Leo, signor Leo!”.

“Clarence!” fece il giovane balzando in piedi. “Che succede?

Che c’è?”

“Ossa, signor Leo. Ecco che succede. Ci sono ossa nel forno.” “

Da qui parte spedito lo spirito investigativo della signorina Trumbull, spinta dalla curiosità non saprà trattenersi dall’andare fino in fondo a quella storia. Troverà parecchi tasselli per rispondere ai due enigmi: chi sia la vittima e chi l’assassino. Nonostante la sua ammirevole e impavida perspicacia si apprezzano anche le continue ritrattazioni sul caso e il continuo vaglio a cui sottopone intuizioni e chiacchiere. Bassett’s Bridge diviene animata per il ritrovamento così come può succedere solo in una contea dove non accade mai nulla, l’autrice è magistrale nel penetrarne il provincialismo e il vociferare che non si risparmia dall’addossare la colpa facilmente a qualunque concittadino.

Intervengono man mano altri personaggi, tutti perfettamente caratterizzati dalle riflessioni della protagonista ma anche dalle loro azioni, che portano a farsene un’idea senza però propendere in alcun senso prima che tutte le carte siano completamente svelate. Tra questi sicuramente risalta Skinner, il detective incaricato di far luce sul caso, tronfio nel suo ruolo e ambiguo, il che comporta una alquanto incerta attribuzione di merito. Allo stesso tempo estremamente imperscrutabile sembra essere Charlotte, dedita a paturnie, lunghi periodi d’isolamento e un trasporto viscerale per gli studi ornitologi. Gli individui sono tutti interessanti e il fatto di non sapere che peso dare alle proprie impressioni nei loro confronti aumenta tale caratteristica.

La trama è ben articolata e ricca di continui colpi di scena, il susseguirsi di nuove piste che emergono saprà tenere ben desto il lettore e sorprenderlo di volta in volta. Seguirà con passione le strade battute autonomamente dalla signorina Trumbull alternative alle indagini ufficiali, certo solo del fatto che possa essere un percorso pericoloso, così come le sottolinea più volte il suo vecchio amico e collaboratore Edgar Farraday.

“(…) Un ultimo avvertimento, Harriet, anche se so che ti dà fastidio. C’è un altro rischio che corri se non fai attenzione con la tua indagine. Non ti è venuto in mente che tu stessa potresti essere in pericolo?”

La penna della Armstrong è calda, sinuosa e morbida, nonostante si tratti di un caso alquanto inquietante e pericoloso la scrittura non è asettica ma emana una sensazione di profondo calore; inoltre non è per nulla pesante né incespicante, bensì molto fluida e ciò la rende adatta e gradevole a ogni tipo di lettore.

Margaret Armstrong ci ha lasciato un giallo di cui bearsi a 360 gradi.



Margaret Armstrong
nacque nel 1867 a New York da una famiglia socialmente molto in vista. Per gran parte della sua vita fu illustratrice molto apprezzata di copertine in stile Art Nouveau e solo in età avanzata si dedicò alla scrittura, diventando un’esponente tardiva della Golden Age. Scrisse infatti solo tre romanzi gialli che trovarono un’eco molto positiva nella critica; tra i suoi lettori ebbe anche Agatha Christie. Haycraft, uno dei maggiori studiosi del genere giallo, la considerò tra le migliori scrittrici che ricorsero nei loro romanzi alla tecnica dell’HIBK (Had I But Know ovvero “se lo avessi saputo”), di cui un’altra autrice americana, Mary Roberts Rinehat, fu l’iniziatrice.

Materiale fornito dalla Casa Editrice

Condividi:
error

Be the first to comment

Rispondi