Recensione: “La ragazza delle meraviglie” di Lavinia Petti

Cari lettori, giunti agli sgoccioli del 2019, vi presentiamo un libro che farà sicuramente parlare molto di sé, un libro che è la meravigliosa conclusione di un anno davvero prolifico dal punto di vista letterario.
Oggi vogliamo parlarvi di un libro che vi porterà nelle città “dai mille colori”, ricca di storie e di leggende da sempre narrate dai grandi scrittori, tra cui il grande Virgilio. Ed è proprio da lui che si snoda una vicenda fatta di tutti quei misteri che il lettore scoprirà da questa appassionante lettura. Un libro magico ed evocativo sui miti di una città bellissima, Napoli, per molti versi ancora da conoscere.

La ragazza delle meraviglie

Lavinia Petti

Editore: Longanesi
Collana: La Gaja scienza
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 17 ottobre 2019
Pagine: 448 p., Rilegato
EAN: 9788830445154

Recensione a cura di Antonella Punziano

Napoli, quartiere Forcella. In una fredda notte d’inverno, una neonata viene abbandonata nella Ruota degli Esposti dell’ospedale dell’Annunziata. Al collo ha una catenina di rame con due misteriosi oggetti, una chiave arrugginita e una moneta antichissima. Adottata da una famiglia di estrazione popolare, Francesca Annunziata, che si fa chiamare Fanny, trascorre nelle campagne del Moiariello che sovrastano la città un’infanzia libera e selvaggia, fatta di avventure solitarie alla scoperta di vecchi ruderi e di notti popolate da sogni inquietanti, forse premonitori, che le valgono l’appellativo di janara, strega. Alla vigilia dei suoi quattordici anni, la ragazza scopre per puro caso la verità sul suo passato. Furiosa per quello che considera un vero e proprio tradimento da parte delle persone più importanti della sua vita, Fanny scappa di casa e trova rifugio in una grotta vicino al mare. Per la prima volta è del tutto sola, e ha con sé soltanto gli oggetti con cui è stata trovata. Nonostante l’impresa le paia impossibile, decide di andare alla ricerca dei suoi veri genitori proprio a partire da quegli enigmatici amuleti. E in questa avventura verrà aiutata e ostacolata da una fantasmagorica galleria di personaggi partoriti dagli anfratti più arcani della città.

A mia madre, per le storie che inventava ogni sera. A mio padre, per avermi insegnato come ingannare i ciclopi e ascoltare le sirene. Senza di voi non avrei cominciato, senza di voi non sarei arrivata fino in fondo.

Quando ero piccola e per natale andavo a casa dei nonni, la sera, prima di addormentarmi, mio nonno usava raccontarmi delle storie, ma non delle storie qualunque, ma fantastiche dal sapore di una verità sommersa: erano racconti di tradizioni, di monacielli e di sirene, di guerre e di fame, di povertà e speranze, storie e leggende di una Napoli che ho riscoperto in questo libro.

È un libro dei ricordi per me, in cui strade, personaggi e luoghi acquisiscono un sapore nuovo dal retrogusto antico: un sapore unico che Lavinia descrive magicamente facendo rivivere una città troppe volte maltrattata.

In una notte del solstizio d’inverno sta per nascere una bambina, l’ultima di una famiglia già grande, quella che Dora, la sorella della partoriente, non è mai riuscita a mettere al mondo. Ma, quando ormai la rassegnazione aveva preso il posto della speranza, la vita le fa un dono inaspettato: il marito Gennaro, nei pressi della ruota degli esposti, memoria di un’epoca perduta, si imbatte in una figura incappucciata che gli lascia una bambina e due oggetti preziosi: una chiava e una moneta. E così, quella stessa notte Dora diventa madre, ma la sua sarà una maternità difficile perché Fanny mostra fin da piccola di possedere un dono o una condanna: vede ombre e fa dei sogni premonitori che le anticipano morti imminenti.

A Napoli le donne così le chiamano Janara, ossia streghe, e questo sarà l’appellativo che Fanny si porterà dietro per tutta l’infanzia, fino a quando non deciderà di andare più a fondo, scavando nelle sue origini partendo dagli unici indizi che la madre le ha lasciato.

Janara. Che parola era? Quale significato orrendo si trascinava dietro, se tutti la fissavano come se Fanny avesse appiccato un incendio?

E sarà davvero un viaggio intorno alle radici, non solo le proprie anche ma quelle della sua Napoli, una città che vive di miti che affondano in storie che fanno fatica a essere dimenticate.

Napoli assomiglia a un gigantesco ragno che traballa su centinaia di gambe. Sono le sue scale. È uno dei segreti meglio custoditi dalla città. Le scale, le gradonate e le pedamentine corrono dalla punta delle colline alle sponde del mare. Vivono nascoste, dimenticate, tra ciuffi d’erba selvatica che spuntano dalle fessure nel tufo, piante d’edera e glicine che si arrampicano sulle pareti delle case e lunghi corrimani di ferro che i bambini trasformano in scivoli.

In questo viaggio Fanny però non è sola: in città si imbatte in un luogo antico e magico, il negozio C’era una volta, dove un vecchio antiquario custodisce libri e oggetti dimenticati dal valore inestimabile. Un uomo burbero all’apparenza, ma dal cuore buono, che conosce bene i pericoli che si celano nelle viscere della storia napoletana, eppure da sempre ne è affascinato: non riesce a resistere al loro richiamo e diventa compagno di un’avventura che porterà Fanny nei meandri più bui della città, nel cuore del mito di Partenope, la sirena sulla cui tomba venne fondata la città di Napoli.

Partenope, la sirena. Partenope, la donna. Quello che siamo viene da molto lontano. Da una terra al di là del mare

Quello scritto da Lavinia Petti è semplicemente un romanzo straordinario, che ammalia il lettore come le sirene di cui narra: un canto al cui richiamo è difficile sottrarsi, una lettura da cui sarà quasi impossibile staccarsi, una narrazione bellissima da leggere come dono di fine anno.

La scrittura è semplice, la trama ben costruita non annoia mai: il libro è un crescendo di scoperte emozionanti con un ritmo serrato che sfocia in un finale dolce e sentito, sentito perché c’è un messaggio profondo che l’autrice ci trasmette: il legame della famiglia non è solo il richiamo del proprio sangue.

Dora ci insegna che essere madri vuol dire assumersi un impegno difficile che va al di là del semplice portare in grembo una creatura, vuol dire farsi carico della responsabilità di educare e dare un futuro ai propri figli, un futuro che però non sempre coincide con quello che si vorrebbe per loro. Da genitori, possiamo solo accompagnare i nostri figli in una scelta che è esclusivamente la loro, educandoli a valori che ci trasmettono le nostre storie.

Ogni storia ha in sé qualcosa di vecchio ma porta anche qualcosa di nuovo: quello che ha appreso chi l’ha vissuta, a volte sbagliando e a volte semplicemente attraversandola.

«Niente muore per sempre», mormorò. «Qualcosa resta. Qualcosa di piccolo che poi diventa qualcosa di nuovo».

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